sabato 28 dicembre 2013

TAPPA DI DECOMPRESSIONE

Ritorno dalla luna.
Immagine standardizzata e voce meccanicizzata, tempo futurizzato di anni analizzati.
Troppe zeta troppe ti, troppe consonanti che trottano nella mia bocca.
E' che mi piace perdermi nella scienza e nella tecnica così cancello i colori e tutto quel
giro di parole vere e scivolose che uso.

Sono semplice, sono logica, sono matematica.

Mi perdo nelle parole che non hanno un peso, quel genere di leggerezza che allontana
chi non ha fegato. Sono parole che mi figuro nella mente, non scrivo per lettere ma scrivo
per immagini, queste, scendono come fotografie e si siedono accanto a me.
Scendono da dove, chiedi tu? Non so, direi che scendono le fotografie, non salgono.
Sono già in alto.

Sono un'impressione, tempo lungo, messa a fuoco manuale, stanza poco illuminata.

Ho paura, la paura nuova.
La paura solita di ricadere in una malinconia tragica.
Di dover recitare la mia parte senza esitazioni: la tragedia infatti.
La recita delle possibilità e dell'ineluttabilità, a differenza del mito la mia scena è un
barcamenarsi goffa tra libertà e bisogno, tra stasi e movimento.

La differenza tra un buon post e questo è proprio in una riga.
Scegliere cosa comunicare, come comunicarlo e se possibile cercare di non
farti piangere più perché esiste uno spazio di decompressione ed io lo so.
E' lo spazio dove io non ho fatto nulla e la tragedia deve ancora iniziare.
E' lo spazio dove ascoltiamo Sebastien Tellier in una notte di agosto.
E' lo spazio del "non resto a dormire da te", "non voglio niente di fisso".
E' lo spazio di un'istantanea di Google Maps.
E' lo spazio di un desiderio tattile.
Desiderio rettile, di mutare, di cambiare, di lasciare giù questa pelle vecchia
come una corazza dopo la battaglia, come lo scafandro di cui ti parlavo.

Perché adesso lo scafandro non bilancia farfalle né palloncini ed io vado a fondo
come nel film su Jean Dominique Bauby, salgono le bolle in un tuffo medievale con
corazza e tubicini.
Nonpotreinondireche.
Fermate i violini e posate i fiori, stop con il lancio di oggetti grazie.
Desiderio portatile, senza fili, ad esaurimento di carica, dura il tempo di un
vuoto d'aria, di uno sbalzo in volo, come il sorvolare i monti di cui ti parlavo.
Per non essere più una parte, di parte, a parte tutto.
Per non essere.
Per non.
Per.
.




Una tappa di decompressione (detta anche pausa, fermata di decompressione o tappa di desaturazione) è il periodo di tempo che un subacqueo deve spendere ad una PROFONDITA' costante alla fine di un'immersione subacquea [...]



venerdì 27 dicembre 2013

THE UGLY AND THE BEAUTIFUL - The Real Tuesday Weld

Lavedianchetuquestacaverna?
E'fumoe'ariae'unaportachiusae'unamusicachenonfiniscepiù.
Lavedianchetu?

sabato 21 dicembre 2013

HELIOTROPE BOUQUET

Mi berrei un bel martini ascoltando Heliotrope Bouquet.
Mi butterei sul letto sbattendo in maniera scomposta le gambe.
Mi berrei una tisana rovesciando tutto sul pavimento,
mi trascinerei la sciarpa chiusa fuori dalla portiera dell'auto,
mi troverei al posto sbagliato nel momento perfetto.
Perfetto per un martini.
Non è che mi sbaglierei.

Ho etichettato le persone che vestono di nero.
Non sono capi delicati insomma.
Non bisogna aggredirli né portandoli ad alte temperature né operando
con un linguaggio colorito.
Bisturi e luce fredda.

Mi berrei un bel martini ascoltando Heliotrope Bouquet.
Mi toccherei la barba con indice e pollice, fisserei il muro da
una vecchia poltrona immaginandomi una porta di un saloon.
Un barista, preferibilmente, occhi scuri e carnagione olivastra
mi mostrerebbe il mio posto a bancone.
Uno schiocco di dita ed è un capitolare di passi, un rumore
di un fiume in piena.
Meglio, una cascata con ciottoli.
Son le otto e il mio vicino sta scendendo le scale, forse a tre a tre.

Mi berrei un bel martini ascoltando Heliotrope Bouquet
perché non amo le ripetizioni, nemmeno i vuoti d'aria,
non amo complimenti né tenerezze, mi imbarazza lo sguardo
e schivo i posti affollati.
Un uomo, una donna, un cane, un bambino, non ho limiti
alla timidezza. Son dunque sempre in guerra, non ho mai
bandiere bianche con me, agito un bastone per l'aria come
dovessi catturare farfalle, colpire una mosca.

Mi berrei qualsiasi cosa ascoltando Heliotrope Bouquet,
potrebbe trattarsi del mio matrimonio o del filmino del
mio matrimonio visto con amici.
Strano effetto ti da la letteratura, anche quella più scomposta,
prima ti butti su un letto poi questo si rovescia su di te.
E' una logica anti gravitazionale: vorrei imbarazzarti come
se non avessimo più nemmeno un rifugio.
E invece ti accomodo nella mia letteratura, ho una citazione
per ogni momento, non è il nome ma è il profumo, non è
una parola ma basta solo la sillaba.

Mi berrei, anzi mi mangerei questo bouquet, fior di vaniglia,
dolce come lo zucchero raffinato.
Sbagliato come il rigore che passa la traversa, quel tipo
di esagerazione che teme la sarta quando sbaglia l'orlo.
La forza di andare sempre oltre, ma oltre male.
Non oltre bene.
Oltre mare.

Mi berrei, come una storia raccontata in una notte d'inverno.
e vorrei dire e ridirieeridireeridireeridireeridireeridireeridire:
ti sfugge il punto. Il punto è che io sono qua.
Ed ora io e te ascolteremo Heliotrope Bouquet.



giovedì 19 dicembre 2013

OLIO DI GEMITO.

Frigge un pensiero in testa
impanato malamente.
Frigge eppure non urla come un'aragosta.
Frigge eppure non lascia macchie.
Frigge eppure non ha odori.

Scivola dalla pentola direttamente nel piatto
e sai, per pochi istanti, cosa fartene.
Scivola e tu odi le cose che scivolano.
Odi anche le persone.
Eppure tu cadi sempre dalle scale.
O sono le scale che cadono addosso a te.

Olio.
Pensiero fulminante, il resto non è che fritto misto.
olio.
elio.
La voce della signora che vende fiori.
Acuta, acutissima.

Scivolano le cose, scivolano le persone, scivolano i pensieri
e per fortuna non solo giù dalla scale.


lunedì 25 novembre 2013

My FUNERAL party.

La festa degli addii.
Non è necessario l'humor inglese.
Questo è il mio funeral party, ovvio non uno vero, quello vero sarà un funeral rave party.
Musica proiettata da casse enormi, come si trattasse di trampolini, una vasca non troppo profonda di persone, un'umanità ben stereotipata: rasta ormai fuori moda, orecchini in legno ed estensori, tatuaggi tribali come il tappeto della zia, magliette tagliate con le forbici del papà per tagliare i cavi elettrici.
Quel tipo di forbice tozza che sembra non tagli nulla, eppure.
Erba stroppicciata, era un tappeto, poi è stato lavato, pestato.
Ora è un campo.
Un campo da rave party.

La festa degli addii.
Non posso immaginarmela così.
Piuttosto un buffet con una musica leggera, fuori dalla finestra una scogliera assolata.
Tutto sembra spazio ampio, potresti correre nella sala, potresti lanciare un pallone e aspettare il primo rimbalzo.
Non posso pensare che non faccia star male tutto questo mare, è il sale che fa bruciare gli occhi.
Non è altro.
Fuori passa il solito golden retriever che corre sulla sabbia - manca un bambino - direte - manca il bambino con la maglia a righe della Petit-Bateau.
Passa solo il cane.
Aspetto un po.
Nessun bambino.
Ripassa il cane.
...neanchel'ombradiunaquilonenemmenounamusicadipianoalmassimoungabbianomanemmenoquellosonotaglidellaproduzione.

La festa degli addii.
Comincia appena hai finito di incazzarti.
Piuttosto ha quell'odore di candela spenta, la struttura di una mela tagliata da qualche minuto, il colore sbagliato del bucato e del tuo capo preferito. E' diventato preferito proprio quando l'hai trovato così dopo il lavaggio: hai provato la sua imperfezione, il suo danno. 
Il tuo danno.
E' un mondo di mostri, nessuno potrà mai ritrovarsi.
Io porto le tartine e la coca-cola, mia mamma compra l'erbazzone e il gnocco, roba che ti volti e ti sei laureato e mentre ti proclamano già lavori in banca da dieci anni, ti fai la cassiera part-time e con il verbo fare intendo voce del verbo tradire tua moglie.
Allora ti volti e stai comprando gnocco e pizza per un compleanno a casa di Giovanni che poi mentre si laurea lavora in una ditta chimica ed ora sei nonno ma hai un male incredibile sempre allo sterno, proprio dove senti pulsare, è un fuoco che ormai nemmeno i medici sanno fermare.

La festa degli addii.
Si tratta di una festa che non puoi preparare né organizzare.
Avrebbe un non so che di grottesco.
La festa degli addii funziona per invito personalizzato, chi partecipa appena capisce cosa sta succedendo si guarda attorno - nessuna uscita - al massimo si tratta di un cambio di stanza.
Stanze sempre molto strette per un comfort che non sia troppo edulcorato, sono stanze di passaggio in cui ti devi sedere ma non adagiare, ti devi appoggiare ma noterai che non c'è polvere nemmeno sui mobili wengè.
Nessuno pulisce.
Niente di strano.

La festa degli addii.
Un giorno avevo una scatola, mi bastava guardarci dentro.
Era il mio glory box ed è probabilmente dalla mia scatola che i Portishead hanno tratto un successo smisurato, ballano due figure al centro di un mondo che non esiste.
Ed ora son stanca di osservare un circolo di oggetti gravitare. 
Ci sono temperature a cui non esistono ragioni né emozioni.
La sauna del cuore. Si tratta di gradi di umidità che bagnano i ricordi fino a farli trasudare in una bolla di immagini che fluttuano nell'aria, dalla pesantezza alla leggerezza.
Ed esistono giorni di funerali, di lutti, di nascite, di lauree, di compleanni.
Sono fasi, sono cicli, sono cose.
Cose.
Nel caso credo che più si cambia più si diventa sé stessi.





martedì 5 novembre 2013

MEMENTO

Ci hanno insegnato che non bisogna dimenticare.
Solo alcune cose.
Ci hanno insegnato a ricordare ciò che ci insegna come affrontare ciò che verrà.
Era e sarà dite voi. Come se si trattasse di uno strumento per aggiustare differenti
oggetti. Uno strumento che è poi un memento.
Memento non ora. Ma domani ricordati di oggi.
Come se non fosse tutto un flusso a vortice di cui non sai nulla.
Eppure mi hanno insegnato a ricordare e dimenticare.
Ricorda chi e cosa ti fa del bene e dimentica chi o cosa ti fa del male.
Sono solo idee: sei stato amato. ricordalo. sei stato odiato. dimenticalo.
Oppure prendi lo strumento che prima non abbiamo consigliato.
Io credo si tratti di un cucchiaio.
prendituttomatuttotuttotutto.
prendi tutto con l'importanza che gli dai.
Quindi magari prendi niente.
oramescolaforteforteforteinunateglia.
Quindi schizza ovunque e perdi pezzi e parti e stracci e stoffe e fogli e canzoni.
mettiinfornomettialcaldopoialfreddomettidovesaichelieviterà.
Ci hanno insegnato che tra il tempo del pensiero e della realizzazione c'è l'attesa.
ascoltatiundiscodegliAirguardafuoridallafinestraimmaginaloscorreredeltempo.
(perché in realtà non passa se tu non glielo permetti.)

Metti in tasca il cucchiaio e sogni d'oro.
sognacaninevedivanoflashfotoarullinoDebussypioggiafoglietisanafinestravuotoariacaldofreddosassiailatisassidentrobiancoeneroinsegnaluminosaocchialivecchi.
sogna.





mercoledì 25 settembre 2013

La strana idea che c'ho di libertà.

CORRE CORRE 
INCIAMPA CORRE CADE SI ALZA SI GUARDA ATTORNO 
NESSUNO LO HA VISTO
HAI BISOGNO DI UN DOTTORE LA COSA CHE MI CHIEDE SEMPRE IL MIO CAPO
VA TUTTO BENE?
Credevo che non fosse importante guardare i propri piedi mentre si cammina, è la sensazione di non
camminare mai a testa alta come dice la ragazza delle risorse umane
PIù CONVINZIONE/PIù CERTEZZE/STRETTA DI MANO POSSENTE E MI RACCOMANDO GUARDI FISSO IL SUO INTERLOCUTORE
Insomma credevo non fosse importante, altre cose credevo importanti.
MA MI ASCOLTA? HA UN'ARIA DISTRATTA.
Se mi chiede le ultime due parole che ha detto le ricordo.
Galleggiavo a mezz'aria in quei mesi, si dice a mezz'aria perché non si è né all'altezza dei sogni ma nemmeno per terra coi piedi, si pensa ad altro, come quando si ha una cosa importante da fare e si dimenticano le chiavi della macchina in casa, si lascia il gas aperto, le candele accese, le cose sporche in giro per casa.
Galleggiavo poi non sarebbe il termine giusto, si potrebbe dire strisciavo.
STRISCIAVO A MEZZ'ARIA. licenza poetica.
Era un ondeggiare regolare, un ondeggiare marittimo e nauseabondo, c'era da credere che prima o poi sarei arrivata, arrivato? Avevo dei dubbi sulla mia identità, non credevo di aver un passaporto valido che mi permettesse di andare nel bagno giusto.
CORRE CORRE 
INCIAMPA CORRE CADE SI ALZA SI GUARDA ATTORNO 
NESSUNO LO HA VISTO
HAI BISOGNO DI UN DOTTORE LA COSA CHE MI CHIEDE SEMPRE IL MIO CAPO
Avrei voluto uno specialista, dal dottore ci vanno solo i vecchi e i rompicoglioni, io volevo uno specialista di quelli che ti scannerizzano tutto, quelli che prendono decisioni di un certo tipo, non quelli che curano il raffreddore, i problemi diuretici e il colpo della strega.
Avrei voluto parlare anche  con un esorcista che vedesse il male in me per estirparlo.
Pensavo a quelle persone che si consolano dicendo
BEH ANCHE IO SAREI BELLA SE NON FACESSI UN CAZZO DALLA MATTINA ALLA SERA
forse no.
Riflettici.
Pensavo a quelli che dicono
MA SE VUOLE FARE QUELLO CHE GLI PARE A ME NON FREGA
magari si, ma non coi soldi miei.
Pensavo a quelli che dicono
MAMA QUANTO INVECCHIA MALE, TUTTE ZAMPE DI GALLINA, LE E' PASSATO SOPRA UN CAMION
ed io mi chiedo come concedano alla bellezza di rendersi visibile per voi
tanto è inutile
Pensavo a quelli che dicono
VEDRAI CHE POI QUALCUNO SI FERMA
file di persone che scorrono e nessuno ti ha ancora aiutato
Pensavo a quelli che dicono
NON MI FREGA NON MI RIGUARDAEVIA DICENDO
un giorno qualcuno lo farà guardandovi negli occhi.
Pensavo a quelle che 
come me
passa il tempo ma restano incazzate 
come bisce
Si dice come bisce perché pare che il rancore e la rabbia striscino bassi bassi dove le cose non si possono raccogliere, dove nemmeno credi ci siano dei problemi, dove non vai a cercare.
Allora trovo giusto ricapitolare così:
STRISCIAVO A MEZZ'ARIA.


Diceva Ulisse chi m'o ffafà 
la strana idea che c'ho di libertà

lunedì 16 settembre 2013

MOOD INDIGO umore color indaco




Quello della sera è un umore color indaco.
Ha il colore dei jeans usati e, prima, pagati poco.
Ha il colore della penna che funziona poco.
Ha il colore del copridivano che non sai descrivere.
Ha il colore di quel groppo in golachepassaallapancia
e ti passa la fame e ti vengono gli occhi giù.
Ha il colore della tisana al Karkadè che dimentichi di 
bere mentre scrivi al computer.
Ha il colore della voce di Amalia Grè.
Ha il colore del suono di una tromba.
Ha il colore del profumo all'ambra.
Ha il colore di quelle poltrone per sale d' attesa che trovi 
negli aeroporti, sedie rovinate e scolorite.
Ha il colore di una pennellata di Yves Klein, così
ma più spenta.
Ha il colore dei miei pensieri.

MOOD INDIGO.



sabato 7 settembre 2013

BORROUGHS My electric sex

Siamo in una zona di correnti sessuali elettriche. Di colpo abbiamo formicolii nello scroto e poi cominciano immagini di quello che stiamo per fare come dire che si guarda un'immagine di sé mentre lo si fa e si casca dritti nello schermo con una stretta deliziosa, Alì e Farja che si inseguono e fanno la lotta per tutto il film.

William Seward Burroughs

mercoledì 4 settembre 2013

CHET BAKER. Every time we say goodbay



Ogni volta che salutiamo una parte di noi.
Digrigna i denti. 
E' l'anima.
Ringhia e bava e sale, occhi, si è sale. Lacrime.
Ora sale, ma si parla di rabbia. Sale come nei giochi dei luna park.
E' un liquido rosso la rabbia, sembra un prelievo, si ma un prelievo al contrario.
E' una polvere che va negli occhi mentre attraversi un incrocio pericoloso. Magari con la luce
negli occhi.
Polvere e luce. Una coppia biblica.

Ogni volta che ci accorgiamo che siamo due.
Ma dai, perché non tre, quattro, cinque.
Siamo cinque. Dividi per uno. Rimane cinque.
Dividi per due. E quel mezzo dove lo metti?
Fuori dal foglio protocollo, preferibilmente scrivilo sul banco a matita.

Dispari è perfetto.

Ogni volta che salutiamo una parte di noi.
Sospiro profondo.
Quel sospiro che serve ai nervi per rilassarsi. Serve poi non so.
Quel pugno sbattuto sul tavolo, il gesto della gamba.
Un calcio, si ma a chi? A qualcosa che ti faccia male.
Lo spigolo, punta lo spigolo.

E' che non mi frega niente di tutta questa finzione.
Delle foto che scatti a testa in su, dell'ansia che mi dai.

Perché tu sei dove le cose selvagge 
sono.
E tu vai sempre dove le strade non
sono.
E tu mi cerchi e purtroppo sai sempre dove
sono.

Dispari è perfetto.
Il resto fuori dal protocollo.
Quello militare.
Siamo in una guerra fredda.



immagini: SERGIO LARRAIN

giovedì 18 luglio 2013

Avrei voluto scrivere un libro / part I / Nocturne No 1 in B Major Chopin

Ecco, avrei voluto scrivere un libro anni fa.
Uno di quei libri nati best-seller, vincitore di premi e dopo pochi anni girarne il film.
Poi presentare in piazze ventose un'idea letteraria, spiegare ai ragazzi di tutto il mondo che la pagina bianca è la mia migliore amica, raccontare delle notti a scrivere, senza ombra di dubbio, su un'Olivetti demodé, in una casa un poco disordinata con un mare di gatti (orrore) che seguono le mie ombre letterarie.
Scrivere ulteriori romanzi, sempre più banali, con le idee che si annidano negli angoli delle stanze e, giunto il tempo di recuperarli, già altri li hanno sfruttati. Nessuno migliore del primo, diranno gli altri.
Il romanzo d'esordio è una cosa, non avere più visioni, beh quello è proprio un'altra fase.
Fidanzarmi, con un attore di teatro o meglio con un critico d'arte, avere un figlio e ritrovarmi paparazzata su di un'isola pressoché inutile, di quelle isole che credi di conoscere solo tu poi ci trovi la tua estetista ed anche la moglie del sindaco del tuo paesino.
Scoprire di essere stata tradita, strapparsi di dosso la decenza, rotolare tra le parole come Alda Merini, cambiare compagno, scrivere sì, ma più disincantata, volgere uno sguardo alle donne, spedire il figlio in un'Università inglese perché americana è troppo repubblicana, meglio una monarchia, un bel tè e del grigio per studiare.
Trascinarsi tra convegni, fisico appesantito, fascino troppo rigido per essere una buona amante, dipinta malamente da quello sguardo che non ti togli più da dosso: quello di chi vuole insegnare anche quello che non ha capito della vita.
Te lo spiego io.

Precisiamo volevo fare la pittrice, poi il naso, poi la fumettista per bambini, poi avrei sognato di aprire un negozio per vendere quello che la gente non trova da comprare.
Ve lo trovo io.

Ricordo anche di aver pensato ad un bel canile, ad una locanda con vini tipici, nel senso tipicamente inteso. Tipici?Forse anche topici.
Me li bevo io.

Ho poi pensato di poter criticare, ho cominciato con gli amici, i morosi, i familiari, poi son passata alla fotografia e all'arte, ho trovato alcuni momenti di pace e di sollazzo, come se per un istante mi figurassi quell'estasi empatica della condivisione primariamente non estetica del...
Ve lo spiego io.

Mi ero impuntata su un sogno che ripetevo la notte: musica di Chopin in sottofondo, una sorvolata di una valle quasi da sfiorarne le rocce e tremare, da pensare che mentre il fiato si sospende il petto si gonfia come quello di un volatile per irrigidire le braccia in uno slancio rapace. Ed è il vento. Grazie al cielo non ho messo lucidalabbra, nel sogno non ho capelli in bocca. Poi un'immersione lenta, incredibilmente lenta, quasi mi sveglio per spingere la macchina da presa oculare. Un' immersione che ricorda quei momenti prima di cadere, avete idea di quegli istanti che sembrano durare anni?Bam, sei a terra. Mi immergo in un'onda grande come uno schermo lcd di nuova generazione, navigo, io della vecchia generazione, nel nuovo e mi sento libera, leggera, muovo tutto il corpo come si può fare solo immersi nell'acqua.
E' una rinascita, ma senza urli e pianti.
Ve la leggo io.

"C'era una volta... 
- Un re! - diranno subito i miei piccoli lettori. 
No, ragazzi, avete sbagliato. C'era una volta un pezzo di legno. 
Non era un legno di lusso, ma un semplice pezzo da catasta, di quelli che d'inverno si mettono nelle stufe e nei caminetti per accendere il fuoco e per riscaldare le stanze. 
Non so come andasse, ma il fatto gli è che un bel giorno questo pezzo di legno capitò nella bottega di un vecchio falegname, il quale aveva nome Mastr'Antonio, se non che tutti lo chiamavano maestro Ciliegia, per via della punta del suo naso, che era sempre lustra e paonazza, 
come 
una 
ciliegia matura
...


mercoledì 10 luglio 2013

MENOS TU VIENTRE- Miguel Hernandez


Menos tu vientre, 
todo es confuso. 
Menos tu vientre, 
todo es futuro 
fugaz, pasado 
baldío, turbio. 
Menos tu vientre, 
todo es oculto. 
Menos tu vientre, 
todo inseguro, 
todo postrero, 
polvo sin mundo. 
Menos tu vientre, 
todo es oscuro. 
Menos tu vientre 
claro y profundo.


giovedì 20 giugno 2013

Lei non ha più memoria.

Lei non ha più memoria.
Lei ha perso la strada.
Lei è persa in un sogno.
Piedi nudi sulla terra si butta nel solito viaggio:
lei pensa ai suoi figli come in un film in bianco e nero
lei pensa a quell'onda che ora l'avvolge
lei pensa a una candela
che illumina solo quello che vuole vedere.
Lei non pensa alla fiamma.
Lei non ha più memoria.
Poi più niente.




venerdì 5 aprile 2013

JOHN CAGE: cos'è l'arte? cos'è la musica?cos'è...?

Non ho mai avuto ambizione di decidere cos'è esattamente l'arte.
Forse non si tratta di ambizione.
Ho sempre creduto che la musica vivesse di una sacralità propria, di un ascolto solitario e individuale, di una sensazione che ci permette di decidere senza dubbi. Decido da sola ciò che è musica per me.
Decido da sola ciò che è arte per me.
La maggior parte delle persone che conosco hanno sfiorato un libro di storia dell'arte attorno agli anni delle superiori, decretando arte la pop-art, il cubismo, la fotografia e forse qualche scultura un pò diversa dalle altre.
La maggior parte delle persone crede di poter catalogare l'arte secondo criteri estetico-economici ed è per questo che non credo ci sia un grande progresso culturale a venire; pochi visitatori alle mostre, pochi conoscitori, poche parole sensate.

Beh, riguardo alla musica non credo ci sia una definizione che può contenere il termine, probabilmente lo sai solo mentre l'ascolti, e poi in realtà ciò che sai lo sai solo tu. 
La musica è un linguaggio, ma del tutto inter-personale, è un monologo che ci si presenta e con il quale dobbiamo confrontarci solo personalmente. Di fatto la musica cambia di pari passo con i nostri cambiamenti di umore, con le nostre magagne e le nostre soddisfazioni, non è quindi un linguaggio ma diciamo che può diventarlo se noi lo trasformiamo in una musica "universale".
Credo che qualche canzone abbia raggiunto un valore universale di linguaggio ed è con queste che spesso comunichiamo in maniera internazionale e mondiale (a fatica).

In ogni caso la mia idea di sogno, la leggerezza di un'idea che di giorno resta quieta e si evolve e si innalza come un origami, la sensazione di mare, un'onda che mentre arriva già se ne va, alcune montagne alte ed io riesco a volare, ci passo vicino, quasi le sfioro, ma riesco a volare, un'onda gigante che sembra rompersi eppure è infinita, riesco a vederne la schiuma, le ombre dell'acqua e son già sotto a nuotare, poi mi sembra di annaspare, scivolo, inciampo sto per cadere.
Mi sveglio.
Grazie John Cage. 





giovedì 17 gennaio 2013

La pazienza di Henri Cartier-Bresson


Ci vuole molto tempo prima che le persone trovino la loro faccia. Non sembrano nate col loro viso, la loro fronte, il loro naso, i loro occhi. Acquistano tutto con l'andare del tempo ed è una cosa lunga, bisogna aver pazienza.

Joseph Roth





fotografie #Henri Cartier-Bresson

mercoledì 9 gennaio 2013

My personal JEWEL BOX


"So che sei una donna dal modo in cui bruci dentro
Ti dirò segreti bellissimi
che non dirai a nessuno
I miei anni, la mia vita sconosciuta
Diamanti dal marciapiede dove c'erano dei vetri rotti
come questi guai che sto lasciando al vento
come zaffiri su un camion
che corre verso la fine
Come ladri, la mia sfortuna cresce
Portagioie di tristezza, preso per raccogliere le tue lacrime
risplendono illusioni cristallizzate, dimenticato, sono qui.
Portagioie di tristezza, preso per raccogliere le tue lacrime
Oh, hai lasciato alcune stelle dentro di me
Stelle hanno intrecciato l'amore dei bambini su strisce d'oro nuziale
Bottoni d'argento di promessa nascosti nelle tasche di velluto rosso sgualcito"
Jeff Buckley




                          

ph. Thomas Lelu #BUAMAI






lunedì 7 gennaio 2013

ATTUALMENTE NON MI CONOSCO - A. Merini



Come diceva Alda Merini "Attualmente non mi conosco".
Oggi nemmeno io.

Quindi invece di essere di parte oggi me ne sto in disparte.