sabato 28 dicembre 2013

TAPPA DI DECOMPRESSIONE

Ritorno dalla luna.
Immagine standardizzata e voce meccanicizzata, tempo futurizzato di anni analizzati.
Troppe zeta troppe ti, troppe consonanti che trottano nella mia bocca.
E' che mi piace perdermi nella scienza e nella tecnica così cancello i colori e tutto quel
giro di parole vere e scivolose che uso.

Sono semplice, sono logica, sono matematica.

Mi perdo nelle parole che non hanno un peso, quel genere di leggerezza che allontana
chi non ha fegato. Sono parole che mi figuro nella mente, non scrivo per lettere ma scrivo
per immagini, queste, scendono come fotografie e si siedono accanto a me.
Scendono da dove, chiedi tu? Non so, direi che scendono le fotografie, non salgono.
Sono già in alto.

Sono un'impressione, tempo lungo, messa a fuoco manuale, stanza poco illuminata.

Ho paura, la paura nuova.
La paura solita di ricadere in una malinconia tragica.
Di dover recitare la mia parte senza esitazioni: la tragedia infatti.
La recita delle possibilità e dell'ineluttabilità, a differenza del mito la mia scena è un
barcamenarsi goffa tra libertà e bisogno, tra stasi e movimento.

La differenza tra un buon post e questo è proprio in una riga.
Scegliere cosa comunicare, come comunicarlo e se possibile cercare di non
farti piangere più perché esiste uno spazio di decompressione ed io lo so.
E' lo spazio dove io non ho fatto nulla e la tragedia deve ancora iniziare.
E' lo spazio dove ascoltiamo Sebastien Tellier in una notte di agosto.
E' lo spazio del "non resto a dormire da te", "non voglio niente di fisso".
E' lo spazio di un'istantanea di Google Maps.
E' lo spazio di un desiderio tattile.
Desiderio rettile, di mutare, di cambiare, di lasciare giù questa pelle vecchia
come una corazza dopo la battaglia, come lo scafandro di cui ti parlavo.

Perché adesso lo scafandro non bilancia farfalle né palloncini ed io vado a fondo
come nel film su Jean Dominique Bauby, salgono le bolle in un tuffo medievale con
corazza e tubicini.
Nonpotreinondireche.
Fermate i violini e posate i fiori, stop con il lancio di oggetti grazie.
Desiderio portatile, senza fili, ad esaurimento di carica, dura il tempo di un
vuoto d'aria, di uno sbalzo in volo, come il sorvolare i monti di cui ti parlavo.
Per non essere più una parte, di parte, a parte tutto.
Per non essere.
Per non.
Per.
.




Una tappa di decompressione (detta anche pausa, fermata di decompressione o tappa di desaturazione) è il periodo di tempo che un subacqueo deve spendere ad una PROFONDITA' costante alla fine di un'immersione subacquea [...]



venerdì 27 dicembre 2013

THE UGLY AND THE BEAUTIFUL - The Real Tuesday Weld

Lavedianchetuquestacaverna?
E'fumoe'ariae'unaportachiusae'unamusicachenonfiniscepiù.
Lavedianchetu?

sabato 21 dicembre 2013

HELIOTROPE BOUQUET

Mi berrei un bel martini ascoltando Heliotrope Bouquet.
Mi butterei sul letto sbattendo in maniera scomposta le gambe.
Mi berrei una tisana rovesciando tutto sul pavimento,
mi trascinerei la sciarpa chiusa fuori dalla portiera dell'auto,
mi troverei al posto sbagliato nel momento perfetto.
Perfetto per un martini.
Non è che mi sbaglierei.

Ho etichettato le persone che vestono di nero.
Non sono capi delicati insomma.
Non bisogna aggredirli né portandoli ad alte temperature né operando
con un linguaggio colorito.
Bisturi e luce fredda.

Mi berrei un bel martini ascoltando Heliotrope Bouquet.
Mi toccherei la barba con indice e pollice, fisserei il muro da
una vecchia poltrona immaginandomi una porta di un saloon.
Un barista, preferibilmente, occhi scuri e carnagione olivastra
mi mostrerebbe il mio posto a bancone.
Uno schiocco di dita ed è un capitolare di passi, un rumore
di un fiume in piena.
Meglio, una cascata con ciottoli.
Son le otto e il mio vicino sta scendendo le scale, forse a tre a tre.

Mi berrei un bel martini ascoltando Heliotrope Bouquet
perché non amo le ripetizioni, nemmeno i vuoti d'aria,
non amo complimenti né tenerezze, mi imbarazza lo sguardo
e schivo i posti affollati.
Un uomo, una donna, un cane, un bambino, non ho limiti
alla timidezza. Son dunque sempre in guerra, non ho mai
bandiere bianche con me, agito un bastone per l'aria come
dovessi catturare farfalle, colpire una mosca.

Mi berrei qualsiasi cosa ascoltando Heliotrope Bouquet,
potrebbe trattarsi del mio matrimonio o del filmino del
mio matrimonio visto con amici.
Strano effetto ti da la letteratura, anche quella più scomposta,
prima ti butti su un letto poi questo si rovescia su di te.
E' una logica anti gravitazionale: vorrei imbarazzarti come
se non avessimo più nemmeno un rifugio.
E invece ti accomodo nella mia letteratura, ho una citazione
per ogni momento, non è il nome ma è il profumo, non è
una parola ma basta solo la sillaba.

Mi berrei, anzi mi mangerei questo bouquet, fior di vaniglia,
dolce come lo zucchero raffinato.
Sbagliato come il rigore che passa la traversa, quel tipo
di esagerazione che teme la sarta quando sbaglia l'orlo.
La forza di andare sempre oltre, ma oltre male.
Non oltre bene.
Oltre mare.

Mi berrei, come una storia raccontata in una notte d'inverno.
e vorrei dire e ridirieeridireeridireeridireeridireeridireeridire:
ti sfugge il punto. Il punto è che io sono qua.
Ed ora io e te ascolteremo Heliotrope Bouquet.



giovedì 19 dicembre 2013

OLIO DI GEMITO.

Frigge un pensiero in testa
impanato malamente.
Frigge eppure non urla come un'aragosta.
Frigge eppure non lascia macchie.
Frigge eppure non ha odori.

Scivola dalla pentola direttamente nel piatto
e sai, per pochi istanti, cosa fartene.
Scivola e tu odi le cose che scivolano.
Odi anche le persone.
Eppure tu cadi sempre dalle scale.
O sono le scale che cadono addosso a te.

Olio.
Pensiero fulminante, il resto non è che fritto misto.
olio.
elio.
La voce della signora che vende fiori.
Acuta, acutissima.

Scivolano le cose, scivolano le persone, scivolano i pensieri
e per fortuna non solo giù dalla scale.