sabato 9 gennaio 2021

LA RABBIA

Troverò un posto in cui depositare tutta la mia merce, spegnerò il mio furgoncino e andrò casa per casa a consegnare i pacchi che mi hanno affidato.
Troverò non solo un posto ma forse troverò tutti i campanelli.

Sfodero un realismo concreto e fotografico quando cerco di spiegarmi.
Nonostante tutto ciò trovo sempre incompresa parte della mia esistenza, come fossi l'ultimo agricoltore in un mondo industrializzato e la terra e le galline e la materia prima non solo non avessero spazio nei pensieri e nelle riflessioni, ma fossero addirittura denigrati.

Troverò tutta la rabbia che ho catalogato in scatoloni di varie misure e la fodererò di poliuretano, di plastica e di imballaggio (un nostro feticcio del quotidiano - mega cit) poi mi sfuggirà il senso di tutta questa fretta quindi cercherò imballaggi biodegradabili, quei fottuti sacchettini dell'umido che si rompono prima di aver finito il loro progetto natale.

Troverò questi materiali bio combustibili, fossili che raccolgono fossili, per rifiutare rifiuti e non nasare nuovamente come un cane - vi ricorderò - bensì come gesto di eliminazione, definitivo, irrecuperabile per noi proprietari materici.

E che noi questi aggettivi da geologo non li capiamo...non avevi studiato arte? Si, ma male, quindi ho ampliato il raggio.
Ora trattasi di circonferenza, di bosone, di atomo riproducibile infinitamente.

Sai perché mi piace parlare così?

Perché voglio che tu, come me, non ne capisca nulla.

domenica 14 aprile 2019

Mi rifiuto


Mi rifiuto di credere
che questo sia il momento
in cui dimentico la grammatica
in cui non trovo le congiunzioni
in cui piove e nessuno ha più voglia di uscire.

Mi rifiuto di accettare
che questo sia l'unico modo
in cui mi dimentico di cucinare
e voglio tutto e subito
e posso ordinarlo su Just Eat.

Mi rifiuto di postare
ogni cosa che mi passa per la mente
perché so che posso stare nascosta
senza che nessuno creda
che sono morta.

Mi rifiuto di lasciare
che tu te ne vada
senza che io abbia anche solo potuto dirti
anche solo e forse a bassa voce
che dentro, fuori e tutto intorno

Io mi rifiuto
mi rifiuto per davvero
ed è la prima volta che non voglio
ma voglio, credo
rifiutarmi.

Mi rifiuto di placare
ogni idea che mi assale
la notte, il giorno, la mezza via
quando fa quella luce da Norvegia
e non capisci che parte del giorno è.

Mi rifiuto di stare
al mio posto, perché ora non mi piace
mi voglio alzare
e vorrei per una cazzo di volta
finalmente, gridare.

Mi rifiuto 
ma tu lo sai il perché?
Perché non ho mai avuto così tanto tempo da aspettare prima di ottenere, da costruire prima di distruggere, da divorare prima di assaporare, da spingere prima di accarezzare, come farebbe un bambino e non come un adulto.

Mi rifiuto di stare
male.
Come se già sapessi
che quel braccio alzato non è per ferire 
Però sai, io ancora non so guardare.



mercoledì 13 marzo 2019

Considerato tutto

Considerato tutto,
nel suo insieme,
tutto senza filtri
senza correttori di bozze,
senza che le virgole mi vengano tolte o aggiunte,
che le parole si ingrassino
come me quando sto bene,
che i concetti si svuotino 
come quando io non sto più bene
(come, quando, chi, dove, perché).

Ecco,
considerato tutto
credo sia un lusso
sentirsi così leggeri
arrivati perché non c'è più meta
in movimento perché non c'è più casa
(e cazzo, direte voi, ma senza casa pure?)
No è che io la casa la vivo come la temo io
cioè la vivo poi la temo.
La casa è una grande cuccia, come dice Francesco,
però a volte diventa un posto in cui non vuoi tornare
se ad aspettare
(ad aspettarti)
c'è la persona sbagliata.

Considerato tutto 
non piove sul bagnato
sbaglia solo chi fa
eccetera eccetera...
Però io dico
Considerato tutto
non credo a questi modi di dire
credo solo che dove sei te la devi cavare.

Che può voler dire:
farsi operare
dal dentista o da chi più credi
ma la cosa deve funzionare.
Ora ho finalmente capito:
Considerato tutto
Io posso ancora funzionare.

Notte


giovedì 30 agosto 2018

Ci sono eh.


Ci sono persone sentimentali che credono sempre alle emozioni, al groviglio geriatrico del ricordo.
Sono persone come aquiloni che vengono sbattacchiate dal vento e non riescono a governare la loro traiettoria, come i palloni leggerissimi con cui un rigore poteva entrare in porta pur mirando esattamente dalla parte opposta.
Così credo siate voi, sentimentali bastardi. Vi schiantate contro le scogliere della vita con l’insistenza di un cadavere, con l’inerzia dell’immobilità.

Però smuovete qualcosa, quella schiuma, quel pezzo di visuale, un lampo nel cielo, voi maledetti rastafariani in un periodo di cravatte e liste in discoteca, siete assolutamente fuori tempo.
Sembrate la serata revival che ti tocca subire nella discoteca al mare (in città non ci vai nemmeno in cambio di un bonifico trimestrale) eppure eppure un poco ti vien da ridere, sai che parlo di te. Ti ricordi quanto fa incazzare sentirsi chiamare prima “groviglio geriatrico” poi “aquilone” (non male dai) ed infine “pallone ingovernabile”.
Ho cambiato qualcosa, vediamo se sei sul pezzo.

Ci sono persone disinteressate, principalmente alla socialità, alla politica, al mondo, all’inquinamento, alle malattie, al dolore.
Sono persone come te, come me, solo non hanno voglia di impegnarsi in nessuna lotta, a meno che non riguardi personalmente loro ed ora questo post diventa noioso anche all’autrice.

Ci sono persone non identificate, non riconosciute, che non attraccano mai a nessuno porto, son sempre in tempesta ma lontano da qualsiasi riva, non sbattono né remano. Hanno un’ancora ben piantata a largo, forse i loro genitori, forse il loro ex, o loro stessi hanno lanciato quel macigno verso il fondale, ma non diamo colpa ad altri.

Poi ci sono persone…






xx

martedì 26 giugno 2018

E IL RESTO?

Mi chiedi: e il resto?
Il resto viene da sè, quando si parla di me, tutto viene da sè.
Comincia una brevissima storia clandestina e nessun porto è pronto ad accogliere il nostro barcone.
Rimane in tempesta, anche dopo la tua accoglienza. Perché io mi ribello e su questo suolo non voglio stare, non voglio tornare a casa ma nemmeno voglio fermarmi: cerco vie di fuga, cerco porte e finestre.
Ma tu chi sei? Quella insicura o quello giusto? Credo la insicura.

Il resto diciamo racconta di fiori che sbocciano, di telepatie, di rancore e di dolore, di rabbia e di amore. Un amore così forte che ho ucciso fiori e stagioni quando ho capito che ora non c'è più.

Ammetto che vi ho rovinato l'estate. Piove sempre ma non chiedetemi il perché.

PAUSA LEOPARDIANA

Piove perché manchi te, con tutta la tua assenza, con ogni donna che mi ha scalciato nel sonno, con ogni incubo che mi ha fatto ammalare: non esiste antibiotico per queste cose, non c'è vaccino e non c'è cura.

FINE PAUSA.

Ricordo una cena, ricordo gli occhi della insicura addosso, il controllo di ogni movimento, le mani nella borsetta, il mio telefono, il controllo del mio privato come gestione del suo sentimento: il controllo della comunicazione, il controllo del mio spazio di azione, la grande paura che fossi una, diciamo una come lei; ma ecco, io son meglio, di me non si sa nulla e per mesi vivo il mio sogno americano. Dormiamo insieme, ci svegliamo assieme, sogniamo assieme, mangiamo assieme, camminiamo assieme e siamo una il resto dell'altra, quella parte mancante che rende tutto più morbido da accarezzare.
Accarezzo i capelli di una donna senza avere paura di toccare i miei.
Questa relazione mi rende morbida, fluida, leggera, creativa, euforica, poi a tratti esagitata: faccio tre lavori e passo il mio tempo a progettare nuovi posti di lavoro (ragiono poi in seguito che forse desideravo stare sola con i miei pensieri, ma trovo questa fase della vita molto prolifica perché al momento mi rende molto lucida).
Comincia a mancarmi quando non c'è, comincia a piacermi, nonostante e dico nonostante mi faccia passare dei mesi di vero inferno: comincia tutto con delle bugie che hanno le gambe corte come quelle del mio amato fratello Fiocco Filippo Balzani.

Come disse la Fata Turchina: Ti perdonerò per questa volta, ma ricordati: se del perdono non sarai degno, per tutta la vita sarai di legno.

Con questo mantra inizia una serie di disgustose menzogne e forse Gesualdo Bufalino sa meglio di me che queste sono Le menzogne della notte. Viaggiamo il mondo, il mio mondo, prendiamo l'auto e ce ne andiamo, vogliamo stare io e lei, noi, vogliamo seminare il mondo del nostro polline e ci riusciamo: ogni cosa ci appartiene. Ricordo gli sguardi sulla spiaggia di Rosignano a Mare, ricordo il mercatino di Lerici, il letto di Nizza e l'auto in Sardegna, dove litigare scaldava ancora il cuore o quella cosa là. Ricordo tutto e non vorrei, perché pare una cicatrice che si sta curando e fa quel prurito che però gratta la gola e quando la gola gratta la voce non c'è più perché si parla con gli occhi e gli occhi spesso parlano piangendo.

Benvenuti nella mia malinconia.
Chiederai: e il resto? Il resto nel prossimo post, questo è molto vago.


domenica 6 maggio 2018

UNO.

Ovvero di come ho trasformato il fallimento di tutti i miei progetti in un progetto impossibile e quindi infallibile.


Parlerò di mesi e di anni, mi sbaglierò citando fonti a voi sconosciute (quindi giustamente non potrete incastrarmi), racconterò di giorni che non ho vissuto e di settimane che avrei voluto cedere ad uno stuntman.
Si, nel mio blog sono un po' uomo.

Comincia tutto anni fa, una sera, quasi una notte, in cui non conveniva uscire: consigliano sempre in stati di alterazione di non prendere decisioni affrettate.
Bene, io esco e a piedi piedini raggiungo la mia migliore amica per una cena a tre.
Ricordatevi di questo numero: sarà una grande ritorno negli anni a seguire.
La mia migliore amica vive in un paesino non tanto lontano dal mio e la proprietaria di casa è una sua ex compagna, amiche e compagne, compagne e simili: amano lo sport e gli animali, si incontrano raramente e cazzo porco quando si incontrano questa famosa sera voglio esserci anch'io.

Qui trovo necessario raccontarvi il perchè; la ragazza in questione è di bellezza rara, ovviamente intendo fisica perchè io, a lei, non ho mai nemmeno parlato: ha capelli lunghi e lineamenti esotici, cammina maldestra ma sicura (poi scopriremo che è un vezzo, di sicuro lì non aveva nulla) si veste alla moda, una moda sua ma ben riconoscibile, rimanda all'America, rimanda un po' al fighetto reggiano.
E voi qui penserete che questi sono incontri che non si hanno da fare in momenti, come prima accennavo, di alterazione emotiva.


EXCURSUS

A casa mi aspettava (e non tornerò) un ragazzo speciale, non per disabilità e delicatezza semantica dell'aggettivo, bensì perchè speciale lo era in tutto: aveva parole delicate e braccia per accogliere ogni parte di me. Lui era quello che gli altri dicono "giusto", ma io non avevo bisogno di stare con la persona giusta. Avevo un lavoro, ben più di uno in realtà e la giustezza era per me la noia quotidiana. Devo però soffermarmi per ammettere che di noioso aveva ben poco: scriveva come una divinità, parlava altrettanto, accarezzava i miei capelli come il vento che tira lungo le coste mallorchine (io, però ancora non lo sapevo) e mi amava il "giusto" per permettermi di essere chi ero, sapeva il francese ed ordinava ai ristoranti di Parigi con un accento adorabile, con grande delicatezza prevedeva ogni mia mossa, come i grandi amanti fanno e, quella sera, aveva previsto la débâclesostantivo femminile
  1. Disfatta, sconfitta clamorosa

  2. che poi avvene.



FINE EXCURSUS

la cena in questione (a cui io non partecipai, arrivai dopo il pasto) fu un grande scompenso nella mia vita. E sapete perchè? Mi sono divertita come poche altre volte nella mia vita, credo di aver riso per qualche ora senza accorgermi che l'amica (la mia) si era addormentata e noi eravamo rimaste sole.

Necessario rimando al perchè ho voluto esserci alla cena.
Qualche giorno prima, forse qualche settimana ero in auto con il "giusto" e la sorella dell'altro "giusto" della famiglia (lui, ancora c'è ed è Il Giusto) e viaggiavamo verso la Francia, strano eh. Nel gossip ardente e volgare del viaggio si parlò per ben più di qualche minuto della ragazza dalla bellezza rara, si parlò di un suo grande problema che forse non era riuscita a risolvere, insomma parlammo di cose oscene e dolorose, di problemi così lontani dalla mia quotidianità simil sana (mente sapendo di mentina la scrittrice) che ne rimasi folgorata.
La salvo io.
Questo fu il primo pensiero. E non so dirvi il perchè ma davvero mi ricordo le testuali parole rimbombare nella mia mente.
La salvo io.
Credevo in un qualche modo che fosse necessario incontrarla e dirle che io avrei avuto una soluzione per lei: la soluzione ero io.

Se fosse un film comico ora sentiremo un pfffff o una risata o un rumore di una qualche clap, tipo le risate registrate della Tata Francesca.

Capite la gravità? La salvo io non andrebbe pronunciato nemmeno a una cagnolina smarrita. Bisognerebbe pensarlo e dimenticarlo. Beh, io non lo faccio, nemmeno con i cani, anzi soprattutto con i cani. Metaforicamente parlando ci fermiamo qui.

[ Part I ]