mercoledì 1 agosto 2012

Ogni 20 Luglio.


Esiste un calcolo scientifico della sopportabilità del dolore umano, il dolore della carne e degli organi interni, il dolore della circolazione e dei tessuti connettivi.
Esiste un calcolo balistico dei movimenti di un cuore straziato e dei suoi spostamenti all'interno di un corpo indifeso: la tenuta nelle curve della vita, l'adattamento al tipo di tragitto che si sta seguendo.
Il mio cuore è una macchina, è solo una macchina incidentata.
Esiste un numero ben preciso che calcola la sopportazione delle tipologie di dolori, possiamo classificarli come "dolori alla terza" o "dolori all'ennesima potenza": è la radice quadrata della nostra età disidratata dai numeri primi della nostra vita e dalla somma delle persone che all'oggi ci mancano.
Un calcolo quasi fisico, interstellare, un calcolo rotatorio alternato che non conosce tempo né spazio: un calcolo che non voglio fare.
Eppure amo perdere tempo a schematizzare il dolore, misurandone ampiezza e densità sperando sempre e comunque di galleggiare io (rispetto al resto) in superficie.
Un peso specifico da non sottovalutare: il peso specifico del vuoto.
Il vuoto d'aria che hai, che senti, quando tutti questi calcoli e misurazioni portano il tuo respiro a farsi stretto, serrato, sempre meno frequente poi lento, pare di essere in acqua, abbiamo tutto il tempo che vogliamo per riemergere ed ora siamo nel silenzio, le urla di fuori sembrano echi mostruosi e la visione è quasi annebbiata eppure luminosa.
Il vuoto d'aria che hai quando gli eventi ti colpiscono al fianco come un cazzotto ben assestato, proprio a te che sei pacifista, che non hai mai toccato nessuno, che non sfioreresti nessuno nemmeno con un fiore (presumibilmente di plastica), tocca a te ora sferrare il secondo pugno eppure non puoi più alzarti, è come se ti avessero schiacciato con un macigno a terra, sei ancorato, stai affondando con il tuo scafandro, non si torna più a galla, non si vede la fine.
Il vuoto d'aria che hai, quando ti accorgi che si può andare avanti, sempre in meno, sempre più soli, sempre più offesi e feriti, sempre più cicatrizzati, ed è quella pelle che ora senti dura che ti farà da corazza perché sulle ferite si crea un alone di aridità, di durezza che è anche salvezza, che divora il vuoto e ne modella le sue forme fino a creare un antro tutto per te, un bozzo, una cuccia, una tenda in salotto, un mucchietto di lenzuola in un angolo.
Il tuo angolo di vuoto.
Ed ora se vuoi puoi rifugiarti lì.

                                      
David Wojnarowicz - Buffalo falling off cliff

3 commenti:

  1. La corazza che si indurisce, i sorrisi che si intriscono, l'angolino di vuoto che si svuota. Praticamente, la vita.

    Gig

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  2. Per non citare lo sfruttato Ungaretti mi viene in mente che "siamo in un soffio di vento che già se ne va".....( chi lo dice Cosimo? )ma siamo anche piccoli corpi celesti che vivono su questo grande corpo celeste che avvitandosi su se stesso abbraccia il sole in un moto senza posa: siamo sospesi a testa in giù su una biglia rotante, che cosa pretendiamo? Basterebbe una momentanea sospensione della forza di gravità e faremmo tutti la fine dei tuoi bisonti! Il tempo passa e il dolore passerà per lasciare posto ad altri dolori ma anche a tanta felicità: concentriamoci su quella....ma ci saranno marziani su Marte???????

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  3. Beh, non so se il Cosimo citato è il Cosimo scrivente. Sicuramente lo scrivente non coincide con l'Uomo-Gatto.
    La cosa più sensazionale dell'opera di Wojnarowicz, facendo un piccolo sforzo d'immaginazione, o sogno invertito, è che la mandria si stia buttando sotto, verso morte certa, in totale libertà.
    Ecco, il buffalo senziente che precipita in fila indiana toglierebbe il respiro.
    Macella l'anima. E allora dall'abusato Ungaretti estirpiamo: "Ora il vento s’è fatto silenzioso..."

    (Per Elena e per l'onore: Neffa).

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