giovedì 26 gennaio 2012

Troppi NOMADI nelle città di MARE



Sei tonnellate di pensieri per la testa, le parole che mi sfuggono di mano e mi ritrovo composta di lettere, un discorso rotto che son sempre pronta a modificare.
Acciaio duro e freddo, malleabile giusto per costruire un involucro ai nostri concetti, una scatola senza coperchio per ottenere e dare, per custodire e disperdere.
Nomade, nomade come in principio fu la pastorizia, la distribuzione (nemein) come porzione assegnata di cui aver cura, come distribuzione del giusto (Nemesi) che porta gioia o dolore secondo l’equilibrio richiesto. Ma richiesto poi da chi?
Distribuzione vista come castigo e vendetta o come compensatrice giusta e divina. 
Sappiamo oggi che non esiste maggior soddisfazione del trovare le parole giuste al momento giusto.
Sono un nomade, non ho fissa dimora, porto dentro di me le parole, queste parole compongono i miei tessuti e la mia informazione genetica, un alfabeto antico che sussurro prima di sedermi ad osservare il mare.

 Jaume Plensa, Nomade, Porto di Antibes, 2010
(Artista catalano, generazione 1955, sei tonnellate di acciaio, lettere dell'alfabeto)

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